La Biblioteca Proletaria della Camera del Lavoro di Novara: il libro vince il litro

Le radici della biblioteca proletaria della Camera del Lavoro di Novara vanno ricercate nella diffusione a
Novara, a partire dalla fine dell'Ottocento, di circoli ricreativi per operai in cui i lavoratori potevano andare
a riunirsi, in alternativa all'osteria, davanti a un bicchiere di vino o un giornale.
Fino all’inizio del Novecento però le finalità politiche e culturali dei circoli non si definirono del tutto. Nel
1901, con la Fondazione della Camera del Lavoro, in questi circoli fu sempre più forte l'influenza dei
socialisti che volevano elevare moralmente e intellettualmente la classe lavoratrice. Si trattava di una
politica promossa a livello nazionale dallo stesso Filippo Turati, secondo il quale nei circoli bisognava tenere
conferenze di propaganda, mettere una biblioteca popolar, proiettare dei film. Così, a poco a poco “il libro
vince il litro”, come risulta da un suo discorso pronunciato alla Camera dei Deputati durante l'approvazione
della legge contro l'alcolismo nel 1913.

A Novara questo progetto venne attuato nel primo dopoguerra: la Biblioteca proletaria fu infatti inaugurata
il 12 giugno del 1921 presso la Camera del Lavoro e fu l'esito della convinzione che per i lavoratori la cultura
fosse necessaria quanto la loro organizzazione. Così su “Il Lavoratore” (organo del Partito socialista
novarese), il 2 luglio 1921 si dice che “più gli operai saranno istruiti, più saranno emancipati”.

La vita di questa biblioteca sarà però breve, dopo poco più di un anno essa verrà distrutta dagli assalti
fascisti durante la cosiddetta battaglia di Novara nel luglio del 1922, quindi non riuscì a incidere
significativamente nella cultura delle classi lavoratrici. “Il lavoratore” dedico ogni due settimane almeno un
articolo al suo andamento, sappiamo così che in 13 mesi mise a disposizione molti volumi, che gli operai
iscritti alla Camera del Lavoro e anche i loro figli potevano prendere in prestito le varie opere, oppure le
potevano leggere direttamente in sede, che era aperta tutte le sere dalle 19:30 alle 22 e poi la domenica al
mattino dalle 11:50. Due “due colte signorine”, cioè Benvenuta Treves e Pia Omnis, insegnanti di
scuola secondaria, svolgevano qui volontariamente e gratuitamente l’incarico di bibliotecarie. Servivano
mezzi economici per acquistare i libri e quindi sul giornale c’erano spesso appelli ai circoli operai e alle
leghe per recuperare denaro. Il numero dei frequentatori era in crescita e nei primi quattro mesi c’erano
già stati 600 prestiti. La Treves fece poi un lungo resoconto per chiedere contributi anche al Comune, tanto
che il sindaco Bonfantini propose il sussidio di 300 lire, in modo analogo a ciò che era stato fatto già per
altre istituzioni del genere. C’erano alcuni lettori fedeli, ma occorreva fare propaganda per invitare altri
utenti.

C’erano, oltre ai libri, anche conversazioni di cultura della cosiddetta Università proletaria, tenute
nei circoli da conferenzieri locali, la stessa Treves o anche parlamentari, quindi la biblioteca e l'Università
proletaria erano un'innovazione importante perché per la prima volta si proponeva ai lavoratori una
formazione allargata a tutti i campi del sapere, non solo finalizzata al lavoro.

I cataloghi di questa biblioteca non sono più in nostro possesso perché l'incendio della Camera del lavoro il
19 luglio 1922, durante la battaglia di Novara, li distrusse. La stessa biblioteca fu poi devastata.
Il 1° agosto del 1922 su” Il lavoratore” troviamo un articolo dal titolo “Al cospetto della biblioteca
devastata”:

“La biblioteca proletaria in un anno di vita aveva raggiunto, per concorso delle organizzazioni operaie e per i
doni di alcuni generosi, i duemila volumi, e fioriva al sole delle simpatie di cui la avvolgevano i lavoratori e le
lavoratrici. Sorta come un atto di fede nel l'imperversare della reazione antiproletaria, essa ha ben presto
conosciuto la sua rabbia distruttrice. Le fiamme le hanno lingueggiato intorno rispettandola; ma ciò che
esse non fecero, fu ben compiuto dai tristi eroi, quando si recarono a issare sul balcone la bandiera
nazionale. Simbolo magnifico di come essi intendono edificare la patria spezzando quello sforzo di
elevazione e di miglioramento delle grandi masse di cui la nazione si compone, e che solo può dare alla
nazione stessa grandezza e prestigio.
Denunciamo, non protestiamo. La protesta sarebbe ingenua per due motivi.
Primo: mostreremmo di credere che quei nuovissimi barbari espressi dalla decadenza delle attuali classi
dominanti siano capaci di un atto di civiltà, e che coloro che si valgono delle loro gesta siano capaci di un
atto di deplorazione.
Secondo: è troppo naturale che la loro rabbia si eserciti non solo contro il progresso economico dei
lavoratori, ma anche a soffocare il movimento ideale che lo accompagna. Quei libri arsi, stracciati e
calpestati non esaltano le aristocrazie che vollero, generarono e compirono le gesta più belle che la storia
ricordi, ma insegnano che l'umanità non sarà bella finché sarà negata alla maggioranza degli esseri umani la
possibilità della vita serena e sicura, della simpatia fraterna, delle gioie e delle opere più alte dello spirito;
non imprimono l'ammirazione degli eroismi sanguinari, la voluttà dell'odio e della distruzione; ma fanno
sentire la bellezza dell'amore e dell'operosità serena.
Rabbia impotente, tuttavia. Nella nostra biblioteca gli scaffali sono spezzati, i libri distrutti. Ma l'atto di fede
con cui fu iniziata ha mantenuto il suo ardore e quella fede ci sosterrà nella sua rapida ricostruzione. I
lavoratori riavranno il loro piccolo tempio, più sacro e più caro per essi dopo il dolore della barbara
devastazione.”

Dopo quella distruzione, la Biblioteca non venne più ricostruita.

Torna alla pagina principale