Cesare De Vecchi, nato a Casale Monferrato nel 1884, laureato in Giurisprudenza e Lettere, tenente di
artiglieria e capitano degli Arditi, decorato durante la Prima guerra mondiale con tre d'argento e due di
bronzo, si iscrive ai Fasci di combattimento fin dall'aprile 1919, e nello stesso anno viene candidato alle
elezioni politiche. Nel1920 guida il Fascio di Torino e nel periodo 1920-1923 diventa segretario regionale
del Partito fascista, per il quale nel 1921 viene eletto alla Camera dei Deputati, partecipando poco dopo
all’assalto della Camera del Lavoro di Torino.
Nella seconda metà del luglio 1922 comanda le colonne in marcia verso Novara contro le organizzazioni dei
lavoratori. Dopo l’uccisione di otto avversari, ordina la smobilitazione del novarese con queste parole:
“Camicie nere, salutiamo i nostri morti vendicati. La vittoria è piena. La tracotanza dei rossi, che
predicavano odio e preparavano feroci imboscate, è stata debellata. Il circondario di Novara è stato liberato […].
I covi della belva rossa sono stati distrutti a centinaia. Mai in Italia passo vento più purificatore e di più
leonina forza. Dovunque splende e palpita il tricolore riconsacrato tra le pingui risaie nel sole di luglio che
avvampa. La vostra violenza necessaria deve oggi terminare. Giustizia è fatta”.
Durante lo sciopero di agosto coordina dal Viminale l'attività delle squadre d'azione nelle maggiori città,
grazie all'amicizia col Presidente del Consiglio Facta; quindi, diventa uno dei quadrumviri della marcia su
Roma, favorevole a una soluzione della crisi politica in accordo con esercito e monarchia. A dicembre guida
la repressione delle guardie regie di Torino che protestavano contro lo scioglimento del corpo.
Cosa gli successe dopo il 1922?
De Vecchi diventa Sottosegretario al tesoro già dal novembre 1922, poi alle Finanze, è insignito del titolo di
Conte nel 1925 e nello stesso anno viene nominato senatore. Dal 1923 al 1928 è Governatore della Somalia,
poi ambasciatore presso la Santa Sede (1929-1935), Governatore delle isole italiane dell'Egeo (1936-1940).
Condannato a morte in contumacia dal Tribunale di Verona per avere sfiduciato Mussolini al Gran consiglio
del fascismo il 25 luglio del 1943, riesce a salvarsi, nascondendosi in varie fasi.
Nel dopoguerra viene processato, sempre in contumacia (espatria clandestinamente in Argentina), dalla
Corte d'Assise di Roma per concorso nell'annullamento delle garanzie costituzionali, promozione e
direzione dell'insurrezione armata del 28 ottobre 1922: condannato il 15 novembre 1947 a 5 anni di
reclusione, la pena gli sarà poi interamente condonata. Nel 1949 rientra a Roma, dove vive fino alla morte.